La nostra storia

a cura di Daniela Poli e Beatrice Malevolti

Le origini

Antonio Poli  è sempre stato un attivo promotore ed animatore della vita sociale e culturale di Palazzuolo sul Senio. Tra i suoi intenti c’è stato quello di  far riflettere sulla propria storia per ricavarne insegnamenti utili per il futuro e  non dimenticare i sacrifici fatti da chi ci ha preceduti. Iniziò così una ricerca di  oggetti e di tradizioni che lo avrebbero portato a fondare una mostra sulla  civiltà contadina e artigiana. La raccolta di oggetti si è rivolta esclusivamente a famiglie contadine e artigiane della zona di Palazzuolo sul Senio. Ogni strumento, frutto di donazioni gratuite, è riferibile ad una precisa famiglia, presupposto questo per consentire una corretta documentazione in base alle notizie che il donatore poteva fornire.  

La ricerca di notizie e la raccolta di oggetti ebbe inizio nel 1976, e in questa fase il lavoro di Antonio Poli fu coadiuvato dall’opera di Elvio Donatini, che diede un importante contributo all’attività di ricerca e alla raccolta del materiale. Una prima esposizione al pubblico del materiale raccolto fu effettuata nella Casa del Villeggiante e finalmente  e nel 1982 questi furono esposti al pubblico, in quello che venne  originariamente chiamato “Museo della Civiltà Contadina e Artigiana”, fu allestito quello che venne  originariamente chiamato “Museo della Civiltà Contadina e Artigiana” all’interno delle sale  dello storico Palazzo dei Capitani del Popolo di proprietà comunale, dove ancora oggi possiamo trovarli..  Il museo non nasce semplicemente perché i fondatori furono mossi dalla nostalgia di una società che così duramente ha dovuto lottare per sopravvivere, ma sorge soprattutto  con il desiderio e la volontà di lasciare alle generazioni che verranno una  testimonianza tangibile a ricordo di quanto sia stato duro il cammino di quelle  che le hanno precedute. Sono stati raccolti circa mille pezzi, quasi tutti frutto di donazioni delle famiglie contadine della zona. Molte delle notizie raccolte sono il  risultato di lunghe “chiacchierate” fatte con ex contadini, fattori, macchinisti, mugnai, mercanti, boscaioli, carbonai ecc. che hanno “offerto” testimonianze  chiare e precise su quali furono gli usi, quali i costumi.  

La ricerca condotta da Poli è stata centrata sui primi trent’anni del Novecento,  periodo in cui sono incominciate le prime grandi trasformazioni. Gli oggetti sono oggi  di proprietà del Comune di Palazzuolo sul Senio.Nei primi anni ’80 la Provincia di Firenze, su delega della Regione Toscana,  istituì una commissione tecnico-scientifica presieduta dal Prof. Giovanni  Cherubini, docente di Storia Medievale alla Università degli Studi di Firenze, con il compito di coordinare l’attività dei molti musei sorti per opera del  volontariato. Grazie alla collaborazione di Poli con Cherubini e con altri, tra i quali Zeffiro Ciuffoletti, Giuseppe Barbieri e Carlo Poni, fu condotto uno studio approfondito sulla vita, il lavoro e l’economia della gente di quei tempi. 

Nel 1990 fu fatta una prima catalogazione ufficiale del materiale raccolto, finanziata con ifondi della Provincia, utilizzando una scheda concordata a livello regionale, quindi nel 1994 la delega per i musei etnografici venne affidata alle Comunità Montane. Il museo ha subito un riallestimento nel 2002 ad opera di Paolo De Simonis. Il percorso proposto da De Simonis consisteva in un viaggio all’interno del mondo delle genti di montagna, costruito con ambientazioni e testimonianze orali e fotografiche che confermavano la complessità del mondo contadino e  mezzadrile, isolando talvolta precisi oggetti su cui potesse cadere tutta l’attenzione. Recentemente, tale ordinamento è stato in parte modificato, tuttavia  l’allestimento dei manufatti segua ancora un percorso di visita organizzato e coerente, secondo un ordine tematico sala per sala. 

Antonio Poli

Nasce nel 1926 a Palazzuolo da una famiglia di piccoli mercanti di legna, secondo di quattro fratelli. Frequenta le scuole elementari e cerca di proseguire gli studi, cosa che le difficoltà della famiglia e la vita in un piccolo paese lontano dai grandi centri prima, e poi lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, gli renderanno impossibile. Nel dopoguerra, nel 1951 emigra in Australia, dove fa molti lavori dal camionista al minatore, ma non abbandona mai l’idea di rientrare. Tornato in Italia nel 1954, diventa per tutto il paese l’Americano. Lavora come commerciante di legnami e rimane legato alla sua comunità per cui svolge attività di volontariato e promozione. Le vicende della vita lo costringono a lasciare il lavoro,  ma prosegue la sua attività pubblica, diventando Consigliere Comunale e Vice Sindaco, carica che porterà per molti anni. 

Nel 1976 inizia la raccolta degli oggetti che costituiranno il Museo delle Genti di Montagna che viene aperto al pubblico nel 1980. Il suo lavoro non si è limitato alla raccolta e al recupero degli oggetti, ma ha svolto un vasto lavoro di ricerca sulle attività agricole ed economiche del territorio di Palazzuolo sul Senio nella prima metà del ‘900, riportato in due pubblicazioni che costituiscono un catalogo degli oggetti conservati nel Museo. Negli stessi anni insieme a pochi amici recupera i vecchi strumenti musicali e fa rivivere la vecchia Banda Musicale ‘Antonio Savoi’. La Banda, di cui è stato Presidente finno alla morte nel 2008, continua a svolgere la sua attività coinvolgendo un grande numero di ragazzi e giovani e svolgendo una preziosa opera di educazione musicale. Durante la sua vita ha pubblicato inoltre un libro per ragazzi, “La storia di Nello il figlio del carbonaio”, che attraverso il racconto della vita di un bambino che aiuta il padre carbonaio, ha l’intento di proseguire la sua opera di divulgazione e di trasmissione alle nuove generazioni di pezzi della nostra storia che non avranno posto nei libri di Storia. Ha poi pubblicato un libro di racconti e una storia della Banda Savoi.

Dopo la sua morte, nell’aprile 2009 il Comune di Palazzuolo sul Senio ha deciso di dedicare alla sua memoria il Museo delle Genti di Montagna che da allora porta il suo nome. 

Pubblicazioni

Antonio Poli. Museo della vita e del lavoro delle genti di montagna. Usi e costumi del primo novecento, Bologna, 1990. 

Antonio Poli, Iacopo Menghetti. Insediamenti rurali nell’alta valle del Senio, Bologna, 1994.

Antonio Poli. Le avventure di Nello il figlio del carbonaio, Bologna, 1999.

Antonio Poli. Palazzuolo ieri e oggi, Digi Graf, Bologna, 2003.

Antonio Poli. Museo della vita e del lavoro delle genti di montagna, Digi Graf, Bologna, 2004.Antonio Poli La banda

Elvio Donatini

Elvio Donatini, nato a Palazzuolo sul Senio nel 1907, vi era ritornato dopo il pensionamento. Amico di Antonio Poli, aveva quindi iniziato a collaborare alla schedatura degli oggetti legati alla tradizione contadina e artigiana che hanno formato il primo nucleo dell’attuale Museo.

Alvaro Bernasconi

La cura del Museo e la guida alla visita è stata affidata per molti anni al paziente e appassionato lavoro di Alvaro Bernasconi che fino al 2017 ha accompagnato i visitatori rendendo vivo ogni oggetto e la sua storia.

Roberto Barni

Roberto Barni è nato a Pistoia nel 1939. Vive e lavora a Firenze. Prime esposizioni nel 1960 a Firenze, quindi a Palermo, New York e Basilea. Le sculture in ferro e bronzo vengono esposte alla galleria d’Arte Moderna di Torino e nelle gallerie di Roma, Napoli e Milano. Espone alla Biennale di Venezia nel 1984 e nel 1988. Nel1985 al Queens Museum di New York dove ha avuto studio nel biennio 1986 -87. Degli stessi anni sono le mostre a Washington, all’Akron Art Museum in Ohio, al County Museum di Los Angeles e alla galleria Maegth di Parigi. Negli anni 90 espone al museo Marini di Firenze, a Palazzo Fabroni di Pistoia, ai Musei di Belle Arti di Budapest e di Reims. Degli anni 2000 sono le sue personali al Kunstverein di Ludwigsburg e a Firenze dove espone al giardino di Boboli, al museo Archeologico, alle Pagliere e nelle piazze della città. Espone con la galleria Marlborough di Montecarlo, Madrid e Barcellona e la città di Cannes gli dedica una mostra a Villa Rothschild. Recentemente ha esposto al Museo di Belle arti di Shangai e con mostre personali a Pietrasanta e alla Biblioteca Nazionale di Firenze. Infine ha partecipato alla Biennale di scultura di Amsterdam nel 2019.

Il logo disegnato e donato da Roberto Barni al Museo delle Genti di Montagna

APPENNINO

di Roberto Barni

Appennino e ho sentito la A balzare davanti ai miei occhi. Un appennino non fermo ma in movimento, un monte aguzzo. Due personaggi vanno in una direzione e uno sopra di loro nella direzione opposta. Una montagna in movimento, una massa mobile dinamica come lo spazio e il tempo di quel paesaggio a me così caro che ho vissuto e che sento il bisogno di raccontare con i miei mezzi più specifici. Disegnando l’immagine mi è saltata in mente con molto arbitrio, la successione di Fibonacci e i suoi primi numeri 1 1 2 3. Che danno origine a quasi tutte le forme a cominciare da quelle della natura più vicina fino a quelle delle stelle più lontane. Di fatto quei numeri sono presenti in maniera mobile e tutti insieme in quel disegno e non c’è li vorremo dimenticare. Sara mi ha portato a Palazzuolo e al Fornello abbiamo abitato per 18 estati.  Nelle nostre passeggiate mi ha mostrato attraversandoli come leprottini ponti di legno antichissimi, muri di pietra che raccontavano le mani e i prati disegnati dalle fosse piene di neve invernale. Grandi case con grandi travi di legno, saloni pavimentati con enormi lastre di pietra che ricordavano la preistoria o nobili palazzi medievali. Rovine che non diverranno mai macerie e che Jacopo ha fotografato in maniera indimenticabile. Una impronta umana scorreva in lungo e largo ovunque e sempre aspirava alla nobiltà di ogni manufatto con l’incessante volontà di dare senso alla forma. In questi luoghi è ancora visibile quello che nelle nostre città vediamo ormai in maniera ancor più sacrificata dalla modernità che non conosce una vera e propria ragione di esistere. Queste sono le nostre case le nostre campagne sono il nostro patrimonio più caro e il nostro amore e ne siamo perennemente commossi e pieni di devozione. Sono il nostro ricordo incancellabile. Mario amoroso autore non solo dei nuovi giardini di Palazzuolo ci raccoglieva a sera non ancora esausti in fondo a un paesaggio e Lidia ci aspettava a casa con le sue sorprese meravigliose, e nonna Sara ci mostrava i suoi gioielli di fili colorati. Ho portato con me a Palazzuolo anche i miei genitori e non li ho dimenticati  a Pistoia. Stellina amava Bach. Mio padre suonava il clarinetto basso e costruiva bellissimi strumenti di lavoro. Avrebbero conosciuto anche gli artigiani, Ceccone, Tona, Dolci avrebbero conosciuto Giuliana e Tonino Poli, autore del prezioso museo del lavoro di Palazzuolo sul Senio e padre di Daniela che continua ad animarlo con le sue iniziative anche nelle piazze.  Vedevo nel museo una piccola stanza che rimaneva spesso vuota di oggetti e così è nata l’idea di raccontare li dentro qualcosa che ho sentito e che si può vedere con la mente e i sensi insieme. Qualcosa che appartiene a quel paesaggio e a chi lo conosce. Presi quattro opere che raccontavano ognuno alla sua maniera il loro modo di avvertire lo spazio.  La scultura è una colonna di uomini di bronzo che stanno uno sopra l’altro come a rastremare il sentimento dello spazio tutto intorno. L’albero dipinto su tre tele evidenzia e attraversa l’ambiguità che congiunge le due immagini distanti sulla superficie bidimensionale. Poggiato per terra un piccolo lavoro composto da tre tele  mostra tre possibilità  di dare origine allo spazio. La quarta opera, un quadro con la cornice di bronzo, è il dialogo dell’uomo con l’albero in versione bidimensionale. Ovviamente  sono molto contento di aver potuto usufruire di quello spazio così antico e ancora così presente e di aver fatto dialogare quattro diversi modi di essere spazio nel suo piccolo spazio. Gli artisti hanno un loro modo particolare di interrogare gli dei che non possono intendere lo spazio come lo intendiamo noi. Eppure dobbiamo continuare a interrogarli con i nostri argomenti perché I nostri sensi sono i creatori della nostra mente. L’universo guarda con I nostri occhi che hanno visto quella straordinaria vicenda e continuano a parlare ancora con chi sa interrogarla e ascoltarla. E’ cosi che la nostra mente si evolve. Il futuro ha molto di nuovo da insegnarci se siamo capaci di ascoltare e guardare le sue interrogazioni. Interrogazioni sulla parola uomo che è sempre più importante ora che le macchine ci ascoltano. Io spero che le cose che amo conducano alla eternità.

Massimo Cirri

Psicologo e giornalista, conduce Caterpillar su Radio 2.
Da anni collabora alle attività del Museo delle Genti di Montagna

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